
L’uomo che fa la domanda a Zelensky – poco prima che succeda quella cosa che avrete già visto – è Brian Glenn, il volto emergente dei nuovi «creator pro-Trump». È il direttore del Right Side Broadcasting Network: realtà della galassia mediatica trumpiana da 1,6 milioni di abbonati su Youtube.
Autodefinitosi «uomo del popolo che fa informazione per il popolo», Brian Glenn fa live da 8 ore agli eventi trumpiani, accolto come una star e con la spilletta «47» sulla giacca (in riferimento al 47esimo mandato di Trump).
Col tempo, e con i suoi editoriali in difesa di Trump, è diventato uno dei più assidui intervistatori di Trump nonché uno dei giornalisti preferiti di Trump: «Quando c’è la folla di giornalisti», dicono i colleghi, «Brian è sempre quello che viene raggiunto dal Presidente».
Oggi era in prima fila all’interno dello Studio Ovale. Il suo intervento ha preceduto di pochi minuti quello che poi è avvenuto. Ovviamente non c’è nulla di male a fare domande incalzanti o a criticare in un articolo l’abbigliamento di un capo di Stato, anzi.
Da spettatore mi ha colpito il tono. Mi chiedo quanto queste siano domande sincere o giudizi accompagnati da punto interrogativo di facciata, modi da reporter pieni di curiosità o toni da ultrà pieni di certezze,
ricerca di una risposta o di una reazione,
di approfondimento o di godimento,
di verità o viralità.
Quanto tutto questo, in fondo, sia voglia di giornalismo o di definizione di se stessi.
Ps. A placare gli animi e porre un dubbio sui modi di Brian Glenn (dicendo che forse «non gli piace Zelensky…») è stato uno dei presenti in quella sala: Donald Trump.